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I termini delle indagini difensive: l’attività investigativa preventiva ed integrativa

Il termine per l’ammissione di prove delle indagini difensive è regolamentato dall’art. 327- bis comma 2 c.p.p., il quale precisa che la facoltà di svolgere attività investigativa viene riconosciuta in ogni stato e grado del procedimento penale.

Indice:

  1. Il termine delle indagini difensive
  2. Le indagini difensive preventive
  3. L’attività investigativa suppletiva ed integrativa
  4. Il termine di trasmissione della documentazione 

1. Il termine delle indagini difensive

Le risultanze delle indagini difensive confluiscono nel fascicolo del difensore, il cui contenuto - ex art. 391-octies c.p.p. - può essere presentato al p.m. e al giudice delle indagini preliminari e/o dell’udienza preliminare, prima che adotti una decisione per la quale è previsto l’intervento della parte privata o affinché ne tenga conto, anche nel caso in cui non si verifichi tale eventualità.

Tra le disposizioni maggiormente importanti per il concreto svolgimento delle indagini difensive, l’art. 327- bis comma 2 c.p.p. precisa che la facoltà di svolgere attività investigativa viene riconosciuta al difensore “in ogni stato e grado del procedimento, nell’esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione

Di conseguenza, l’attività investigativa difensiva può essere compiuta non solo durante le indagini preliminari, bensì anche nella sola eventualità che si instauri un procedimento penale e nelle fasi successive, quali il giudizio di primo grado e di appello, oltre che nella fase esecutiva, al fine di per pervenire ad una revisione del giudicato.

2. Le indagini difensive preventive

Il combinato disposto di quanto previsto dal comma 2 dell’art. 327-bis e dall’art. 391-nonies c.p.p., il quale consente al difensore, munito di apposito mandato, di svolgere indagini per la sola eventualità che si instauri un procedimento penale, con esclusione di quegli atti richiedenti l’intervento o l’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria, legittima lo svolgimento delle c.d. indagini difensive preventive.

Sebbene consentita per la sola eventuale instaurazione di un procedimento penale, l’espresso richiamo dell’art. 391-nonies legittima lo svolgimento di un’indagine preventiva integralmente omogenea rispetto a quella prevista dall’art. 327-bis. Di conseguenza, il privato potrà attivarsi e dare mandato per lo svolgimento di tale tipologia di investigazione a prescindere dalla pendenza di un procedimento penale, qualora non sia a conoscenza dell’avvio di tale procedimento perché non ancora indagato o, in mancanza dell’informazione di garanzia, non consapevole di esserlo.

Al fine di svolgere un’indagine difensiva preventiva, occorre un apposito mandato scritto con sottoscrizione autenticata del mandante,  anche ad opera dello stesso difensore ai sensi dell’art. 39 disp. att. c.p.p., il quale deve contenere la nomina del difensore e l’indicazione dei fatti ai quali si riferisce. Tale precisazione ha lo scopo di  circoscrivere l’ambito oggettivo dell’indagine preventiva, attinente ai fatti rilevanti dell’eventuale procedimento: tuttavia, l’indicazione dei fatti potrà essere generica e sommaria, anche al fine di non esternare il grado di coinvolgimento del proprio assistito.

Sebbene l’indagine difensiva preventiva si configuri come la ricerca degli elementi favorevoli al proprio assistito nella sola eventualità dell’instaurazione di un procedimento penale, nel rispetto della legge e delle regole deontologiche non può mai sostanziarsi in una manipolazione dei possibili elementi di prova, nonché come una sottrazione degli stessi per le eventuali future indagini del pubblico ministero.

Anche se parte della dottrina ha sottolineato come l’attività investigativa in esame sia tutt’altro che immune da tali rischi, è evidente che se il diritto riconosciuto dall’art. 327-bis c.p.p. viene correttamente esercitato dal difensore, non è suscettibile di incidere irrimediabilmente sulla genuinità delle (eventuali) acquisizioni investigative degli organi inquirenti e, pertanto, non determina nessun turbamento rispetto alla funzione pubblica di accertamento dei fatti.

In ordine alla possibilità per il difensore di avvalersi della collaborazione di sostituti, consulenti tecnici o di investigatori privati per lo svolgimento delle attività previste dall’art. 391-nonies del codice, la mancata menzione di tali soggetti nel medesimo articolo non può determinare un codificato divieto per l’avvocato di avvalersi dei collaboratori di cui può usufruire per lo svolgimento delle indagini difensive ex art. 327-bis c.p.p., dal momento che la norma attribuisce espressamente un potere investigativo preventivo solamente al dominus delle investigazioni, da cui però discende quello dei suoi ausiliari.

Ciò risulta evidente dal rinvio reciproco tra le due disposizioni, da cui emerge che tale facoltà investigativa preventiva debba essere esercitata nelle medesime forme e per le stesse finalità di quella ordinaria. Di norma, l’attività d’indagine in fase preventiva viene affidata dallo stesso difensore ad investigatori privati autorizzati, la cui attività viene disciplinata dal Testo Unico delle Leggi di Pubblica sicurezza (T.U.L.P.S.) e si sostanzia anche nella messa in atto del c.d. pedinamento - anche con l’ausilio di strumenti elettronici - e nella ricerca e cristallizzazione della c.d. prova digitale attraverso l’informatica forense.

I risultati dell’attività investigativa preventiva, documentati secondo i medesimi criteri previsti per quella svolta nel corso delle indagini preliminari, saranno utilizzabili nell’eventuale procedimento successivamente instaurato. In relazione al valore delle risultanze raccolte, parte della dottrina ha evidenziato come il soggetto che renda dichiarazioni in sede preventiva, ex art. 391-bis, non sia tenuto ad un obbligo di verità, dal momento che la fattispecie non rientrerebbe nella sfera di operatività dell’art. 371-ter del codice penale, nella parte in cui prevede la reclusione fino a quattro anni per chiunque renda false dichiarazioni al difensore.

Tuttavia, è necessario distinguere il profilo dell’utilizzabilità da quello del valore probatorio delle dichiarazioni rese ex art. 391-bis c.p.p.: infatti, solo in relazione a quest’ultimo aspetto vi è la possibilità di disporre la sopracitata sanzione penale, che rientra nell’ambito del libero convincimento del giudice, mentre in relazione all’utilizzabilità la normativa processuale non prevede alcun divieto in tal senso, rendendo tali dichiarazioni spendibili nel dibattimento, secondo quanto previsto - al pari delle risultanze delle indagini difensive ordinarie - dagli artt. 500, 512 e 513 del codice di procedura penale.

3. L’attività investigativa suppletiva ed integrativa

Pur avendo luogo prevalentemente nel corso nelle indagini preliminari, l’attività investigativa difensiva, oltre che in fase preventiva, può svolgersi anche nel periodo di tempo intercorrente tra la richiesta di rinvio a giudizio ad opera del p.m. e la celebrazione dell’udienza (art. 419 comma 3 c.p.p.), nonché dopo l’emissione del decreto che dispone il dibattimento (art. 430 c.p.p.). 

La disposizione di carattere generale contenuta nell’art. 327-bis del codice, nella quale si prevede la facoltà in capo al difensore e ai suoi ausiliari di svolgere indagini in ogni stato e grado del procedimento, ha reso necessario un intervento normativo finalizzato a regolare e definire l’attività investigativa suppletiva ed integrativa. 

La legge 7 dicembre 2000, n. 397, modificando l’art. 419 c.p.p., consente di dare  reale attuazione all’esercizio del diritto di difesa anche in piena fase processuale, superando definitivamente l’interpretazione restrittiva fondata sulla locuzione - ora abrogata - “persona sottoposta alle indagini”. Infatti, sotto la vigenza dell’art. 38 disp. att. c.p.p., parte della dottrina aveva ritenuto che il difensore, dal momento che la norma faceva riferimento al solo indagato e alla persona offesa, senza citare l’imputato, non fosse legittimato a presentare direttamente al giudice gli elementi di prova raccolti in suo favore. 

Sebbene la novella del 2000 non abbia specificatamente riconosciuto al difensore la facoltà di compiere indagini suppletive, essa si ricava indirettamente dal corpus dell’art. 419 comma 3 c.p.p., in seguito all’eliminazione dell’espressione “comunicato al pubblico ministero”, con riferimento all’avviso contenente il giorno, l’ora e il luogo dell’udienza. 

4. Il termine di trasmissione della documentazione

Di conseguenza, l’invito a trasmettere la documentazione relativa alle indagini eventualmente espletate dopo la richiesta di rinvio a giudizio, contenuto nell’avviso di fissazione dell’udienza, viene esteso anche al difensore, il quale è legittimato a svolgere attività investigativa suppletiva e a presentarne le risultanze.

È onere del difensore depositare la documentazione contenente i risultati di tali indagini prima che si proceda con la discussione, ex art. 421 c.p.p., nella quale le parti hanno la facoltà di utilizzare gli atti e i documenti ammessi dal giudice prima dell’inizio della stessa; diversamente, le risultanze dell’attività investigativa suppletiva non potranno essere inserite nel fascicolo del difensore.

La l.n. 397/2000 ha modificato anche l’art. 430 c.p.p., riconoscendo espressamente al difensore la facoltà di svolgere attività integrativa d’indagine, finalizzata alla formulazione delle richieste al giudice del dibattimento, ad eccezione degli atti per i quali è prevista la partecipazione dell’imputato o del suo difensore. Il comma 2 del medesimo articolo prevede l’immediato deposito della relativa documentazione presso la segreteria del pubblico ministero, con facoltà delle parti di prenderne visione ed estrarne copia. 

Come già evidenziato in precedenza, il pubblico ministero, titolare dell’interesse pubblico nel processo penale, ha l’obbligo di rendere noti tutti gli elementi acquisisti durante lo svolgimento delle proprie indagini, mentre il difensore, in virtù della natura e dello scopo della propria attività, ha diritto a decidere autonomamente se e quando esternare i risultati raccolti, senza alcun obbligo a depositare gli eventuali elementi sfavorevoli al proprio assistito: tale principio si applica anche ai risultati dell’attività investigativa suppletiva ed integrativa

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